COMUNICATO STAMPA

Presentazione del dipinto San Sebastiano e le pie donne di Luca Giordano nella Torretta medievale di Macchiagodena

Facendo seguito a un protocollo d’intesa tra il Comune di Macchiagodena e la Fondazione De Chiara De Maio finalizzato alla diffusione di eventi culturali, il presidente della Fondazione Diodato De Maio offre in prestito alla comunità di Macchiagodena e dei visitatori un capolavoro della pittura appartenente alla propria collezione d’arte, il dipinto San Sebastiano e le pie donne di Luca Giordano. L’opera è accompagnata dal catalogo monografico edito dal Museo Civico Gaetano Filangieri di Napoli, dove è stato in mostra per diversi mesi. Curatore del catalogo e della Fondazione è lo storico dell’arte Vincenzo De Luca.

La destinazione scelta per collocare il dipinto è la Torretta medievale appena restaurata, a due passi dal Castello del paese. Fa da cicerone ai visitatori un documentario (proiettato su uno schermo a fianco del dipinto), curato dallo stesso De Luca, che racconta i diversi livelli di significato dell’opera, interpretato dall’attore Francesco Paolantoni.

Il prestito copre l’intero mese di agosto. Per il giorno mercoledì 11 agosto è prevista la presentazione ufficiale, con la presenza del professore De Luca che introduce alla visione del dipinto.

Sebastiano è il santo più rappresentato nella storia dell’arte, soprattutto durante la lunga stagione rinascimentale.

Molti pittori hanno raccontato, erroneamente, il suo martirio facendolo morire con le frecce dei propri soldati. Vissuto nel terzo secolo, era capitano delle guardie dell’imperatore Diocleziano e fu difensore dei cristiani, compiendo anche miracoli, come ridare la voce a una donna muta da anni. Scoperto dall’imperatore a difendere il nuovo credo, fu condannato a morte, denudato, legato a un palo sul colle Palatino e appunto trafitto, per mano di soldati suoi commilitoni, da tante frecce da farlo sembrare un riccio con gli aculei eretti, ut quasi ericius esset hirsutus ictibus sagittarum. Tradizione vuole che una pia donna di nome Irene, volendo recuperare il corpo per garantirne una degna sepoltura, si sia accorta che il giovane trafitto dalle frecce non era morto. Curato da Irene (anche per questo gesto poi santificata) e guarito, riprese testardamente la sua attività a difesa dei cristiani. L’imperatore Diocleziano lo condannò a morte di nuovo, questa volta mediante fustigazione, facendo gettare il corpo morto nella Cloaca Maxima. Era l’anno 304.

Irene è presente in alcuni dipinti di Jusepe de Ribera (detto lo Spagnoletto) e in alcuni altri, che dal de Ribera prendono ispirazione, di Luca Giordano.

Jusepe de Ribera giunge a Napoli nel 1616, quando aveva all’incirca venticinque anni, e nella città vicereale muore nel 1652. Per alcuni anni, circa nove, è il maestro di Luca Giordano, nato a Napoli nel 1634 (morirà a Napoli nel 1705).

A maggior ragione il dipinto San Sebastiano e le pie donne di Luca Giordano rappresenta una rarità. Per la presenza appunto di due donne, Irene e la sua serva.

Si tratta di un olio su tela, di dimensioni 217,5 x 166 cm, realizzato intorno al 1653. Opera quindi giovanile, quando i riferimenti sono la lezione di Caravaggio e i dipinti del de Ribera. Tale copia dallo Spagnoletto rimanda alle abitudini di alcuni allievi di replicare i dipinti del maestro, confermando inoltre la leggenda che vuole che il soprannome di Luca Giordano fosse Fapresto (“Luca fai presto”) con allusione alla velocità nel copiare le opere degli altri. Tale tela sarebbe stata dipinta più o meno nel periodo in cui muore il de Ribera.

Il proliferare di tale soggetto nella pittura dal Quattrocento al Seicento è nell’accostamento tra il santo e la peste. Se le frecce scagliate rappresentano il flagello di dio, cioè la peste, contro l’umanità peccatrice, Sebastiano che sopravvive incarna la fine dell’epidemia e l’umanità redenta.

Appunto non poteva mancare in pittura la figura di Irene. Simboleggia l’anello mancante della storia; il maleficio della freccia (il flagello di Dio) scagliata sull’umanità che soffre (san Sebastiano) è annullato dall’umanità che allevia l’altrui dolore (Irene).

A un livello maggiore di astrazione Sebastiano e Irene sembrano incarnare due alter ego di Cristo e di Maria, lui che persevera nella missione fino al patimento e alla morte, lei figura defilata ma necessaria che soccorre e salva. Sebastiano rimanda all’essenza della Chiesa, a un’istituzione che si basa su un esempio, Cristo, e su un’ideale, il bene, Irene è invece la Chiesa tra gli uomini, che si fa misericordia corporale.

L’azione di Irene è congelata un attimo prima di estrarre la freccia dall’ascella, immobili sono il martire e la pia donna sullo sfondo (la serva di Irene) che, con l’unguento medicamentoso in mano, attende di entrare in scena per completare con le proprie cure l’opera misericordiosa di Irene.

Vincenzo De Luca