Si inaugura a Solofra, in provincia di Avellino, il prossimo 21 maggio alle ore 18.30, la rassegna di arte
contemporanea COLORI.
Evento di apertura del programma è la mostra CARO-ARMATO di Franco Politano. L’esposizione sarà ospitata
nella sede della Fondazione De Chiara De Maio in Piazza Umberto Primo I, n°10/11 e sarà visitabile
gratuitamente fino al 30 luglio 2022 secondo gli orari di apertura della galleria.
COLORI, programma culturale curato da Valerio Falcone, è stato ideato dallo stesso e accolto con immediato
entusiasmo dal Presidente della Fondazione, Diodato De Maio, reduce dalla edificante organizzazione di due
mostre di arte antica e moderna a Napoli e Capua.
La rassegna è stata concepita a lungo termine e l’elenco degli altri artisti coinvolti è in divenire e promette di
essere coinvolgente e di impegnare il pubblico per molti mesi: pittori, scultori, ceramisti, intellettuali,
fotografi animeranno la vita culturale solofrana con esposizioni personali che si alterneranno ogni due mesi
circa.
Il titolo del programma fa riferimento all’arcobaleno, simbolo calcificatosi nell’immaginario collettivo
nell’ultimo biennio, denso di eventi difficili a livello globale. Ad ogni mostra della rassegna, infatti, sarà
associato un colore tematico, ponderale anche nella grafica dei cataloghi che saranno pubblicati
contestualmente ad ogni esposizione, in modo da andare a comporre la collana di “Colori”.
Proprio dal catalogo di Caro-Armato, arricchito dagli interventi del curatore stesso e dal Presidente della
Fondazione, si legge che questa mostra rappresenta per Politano i riflessi della sua infanzia, di una storia
passata e tutt’oggi ripetuta per il potere indiscusso. Infatti, come riconosciuto dallo stesso Diodato De Maio,
Caro-Armato viene inaugurata in un momento complesso e teso a livello internazionale ed interno. L’auspicio
del Presidente De Maio è che questa mostra possa costituire un momento di distensione per chi vorrà
visitarla.
Le opere esposte saranno nove, tutte realizzate con materiali diversi e di recupero. Il nucleo è l’opera che dà
il nome alla mostra, costruita in ferro ed altre leghe e residui di ingranaggi industriali.
L’utilizzo di materiali riciclati è una caratteristica fondante del lavoro di Politano, artista catanese classe 1952.
Nella sua opera la materia è estratta dalla sua terra madre e fusa con i miti e le epoche della Sicilia
mediterranea e interna.
Gli interessati potranno incontrare l’artista anche domenica 22 maggio dalle ore 11:30, sempre presso la
sede della Fondazione.

Franco Politano
Catania 1952
Nipote di un costruttore di carretti siciliani e figlio di un intagliatore, Franco Politano respira nelle
botteghe di famiglia il desiderio e la libertà del fare, che rimangono il segno forte di tutta la sua
ricerca artistica successiva. Il fertile humus artigiano dell’ambiente familiare feconda l’innata
predisposizione del giovane Francesco all’espressione artistica, che trova una prima
sistematizzazione presso l’Istituto d’Arte di Catania. L’insegnamento di orientamento neoclassico
dello scultore Domenico Tudisco indirizza Politano verso un’impostazione figurativa, che negli
anni settanta viene però corretta in direzione di interessi più concettuali. Sono gli anni vivaci della
frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Roma sotto la guida di Pericle Fazzini e Umberto
Mastroianni, e in seguito dell’Accademia braidense a Milano, dove Politano matura con Alik
Cavaliere un linguaggio via via più rigoroso e autonomo. Frattanto, nel 1973, l’incontro con Enrico
Crispolti gli consente di entrare nel circuito delle esposizioni d’arte con la partecipazione
all’importante Internazionale d’Arte di Volterra. Il connubio con il critico romano continua negli
anni successivi, e nel 1986 Crispolti firma il corposo saggio di presentazione della mostra “Percorso
di Vita”, che raccoglie intorno a Franco Politano numerosi consensi. Nel suo testo critico, Crispolti
evidenzia “la presenza di due poli referenziali quasi opposti” nel lavoro di Politano: “la fisicità più
spinta e goduta, da una parte, e l’assunzione più chiaramente simbolica e concettuale del valore
dell’immagine, dall’altra” (Crispolti 1986, pp. n.n.). Del resto, è l’artista stesso in quegli anni ad
evidenziare il ruolo di queste due componenti, che vengono inserite in un campo d’azione specifico:
nasce così la formula triadica di “pensiero visivo – spazio ambientale – oggetto materico” che
accompagna le sperimentazioni figurative di Franco Politano per tutti i primi anni ottanta. In questi
anni, nel suo repertorio figurativo ricorre un simbolo costante, la figura bifallica, che secondo la
lucida lettura di Enrico Crispolti, è “archetipico simbolo di vita, naturalmente, ma nella concretezza
di una collocazione antropologico-sociale che si fa esplicita più che altrove proprio in questo
“percorso”, in riferimenti dunque precisi ad una tipologia di educazione di tradizione cattolica, non
solo nazionale, ma direi al fondo chiaramente siciliana. Una tipologia d’educazione e quindi di
comportamento individuale e sociale; attraverso la definizione del quale tuttavia il simbolo assume
esplicitamente valenze di richiamo remoto, arcaico, mediterraneo” (E. Crispolti in Leone 1986, pp.
n.n.).
Negli anni novanta, Franco Politano intensifica la sua partecipazione alla vita culturale di
Catania e del suo territorio, con l’apertura, nel 1990, della Galleria “La Porta Rossa”, sostenuto da
Francesco Gallo, e nel 1995 con l’istituzione del Museo di Trecastagni, che attraverso una serie di
mostre temporanee si rivela presto luogo di convergenza e confronto per le tendenze culturali
dell’isola. Le frequenti esposizioni sul resto del territorio nazionale indicano che sono ormai ben
definiti e solidi i fattori identificativi dell’arte dell’artista catanese, il quale dimostra autonomia di
pensiero e d’azione rispetto alle quadrature storico-critiche che vengono di volta in volta chiamate
in causa per la sua opera: arte povera, arte concettuale e arte ecologica sono categorie che il
percorso di Politano interseca continuamente, senza tuttavia mai abdicare all’irriducibile nucleo
d’interesse intorno a cui ruota il suo agire artistico: l’uomo.
Franco Politano è infatti uomo che si rivolge ad altri uomini per mezzo “di un’opera carica
di “cordialità” mediterranea che vuol parlare al cuore e non solo all’intelligenza” (Pappalardo 2007,
p. 7). “Arte antropologica” è, difatti, la definizione che l’artista stesso ama dare del suo operato.
Nella triade elaborata negli anni ottanta rimaneva infatti celato o, meglio, sottinteso, il soggetto
agente: il solo motore in grado di dare avvio al meccanismo di interazione tra i fattori in causa è
l’uomo, in una doppia accezione che può essere meglio definita nel rapporto tra mittente e
destinatario. Infatti, l’uomo-artista crea un “oggetto materico”, trasportandolo dallo “spazio
ambientale” macroscopico della sua interiorità a quello microscopico dello spazio espositivo, per
veicolare il suo “pensiero visivo” fino all’uomo-osservatore. Ciò che più affascina nella personalità
di Franco Politano è che la rigorosa consapevolezza critica del proprio operare artistico non
conduce l’artista ad alzare un muro nel binomio tra artigianato e arte che stava alla base del suo
imprinting artistico in famiglia, ma anzi dà forza vitale allo scambio e alle contaminazioni. In tal
modo, il linguaggio di Politano si orienta sempre più verso una “poetica del recupero di frammenti”
(F. Musotto in Gallo 2000, p. 1), che consente al catanese di “andare oltre il visibile, percependo e
intuendo nel relitto e nella carcassa dell’oggetto che è stato, un’altra vita, un’altra dimensione, un
nuovo respiro” (A. D’Amico in Basili, Arionte 2008, p. 9), che spesso si rivela l’estremo e
apprezzabilissimo tentativo di conservare un’identità e una memoria genuinamente contadine, in cui
il “richiamo remoto, arcaico, mediterraneo” evidenziato da Crispolti è ancora vivissimo.
“Gli oggetti parlano, comunicano, hanno una loro storia, sono storia; corpi pieni di vita che
rimangono lì. Fermi ad aspettare qualcuno con cui dialogare, qualcuno che li capisca, che li
riscopra, che gli dia una nuova vita. Ferraglia inutile che parla al vicino di destino, spalla a spalla si
raccontano storie e momenti della loro funzione originaria, ognuno di loro si sente meno o più
importante dell’altro e parlano, parlano: bla bla, bla bla, e quando qualcuno si sofferma a guardarli,
gli oggetti si mettono in mostra, ma purtroppo non tutti sono interessati, presi da altre voci, da altri
rumori. Qualche oggetto, più sfacciato mi chiama … Signore, Signore… io mi fermo, lo guardo e lo
prendo. Gli parlo rivolgendogli qualche domanda alla quale magari non risponderà come vorrei e
allora suo malgrado si vedrà nuovamente riposto nel mucchio, magari perché la mia attenzione è
stata carpita da un altro oggetto che invece se ne stava lì, fermo e triste in un angolo, aspettando uno
dei pochi anzi no, proprio me, che gli desse la possibilità di rivivere attraverso una nuova identità,
un’altra vita” (F. Politano in D’Amico 2008, p. 10).
Nel 2011 è invitato alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Padiglione
Italia, con l’opera l’esercito delle anime. Nel 2013 al Premio Termoli con l’opera Verso il Futuro.
Le sue opere sono in numerose collezioni pubbliche e private.